La complessa storia geologica della Tuscia ha generato tutta la varietà di rocce che si trovano attualmente in questo territorio: dalla Tetide mesozoica alle coste tropicali del Pliocene, fino ad arrivare al vulcanismo dei grandi laghi, questo territorio è cambiato molte volte nel tempo e questi cambiamenti ambientali hanno generato molti tipi di rocce che si sono sovrapposte, mischiate e successivamente sono state erose formando valli e dirupi.
Le rocce sedimentarie interessano una buona parte del territorio, costituendo la piattaforma sulla quale poggiano le rocce magmatiche espulse dai laghi nell'ultimo milione di anni. Guardando la carta geologica della Tuscia, si nota come le rocce sedimentarie occupino praticamente tutto il litorale fino all'altezza di Monteromano (circa 20 km dal mare), l'area ad est dei laghi fino al confine con l'Umbria (valle del Tevere, calanchi di Bagnoregio..) e l'area a nord presso il confine con la Toscana.
L'età delle rocce sedimentarie della Tuscia varia sensibilmente a seconda della zona di affioramento: le più antiche sono datate al Triassico o forse al Permiano superiore1 (formazione del "verrucano", affiorante solo nei pressi di Ponte san Pietro ai confini con la Toscana), o al Giurassico (come i calcari dell'Hettangiano di monte Canino, risalenti a 195 milioni di anni fa), mentre le più recenti sono i travertini che ricoprono un'area ampia nei dintorni di Viterbo e ad ovest del lago di Bolsena (che tra l'altro sono ancora in formazione). Abbiamo anche calcari plio-pleistocenici, depositi miocenici e grandi distese di torbiditi mesozoico-cenozoiche. Tuttavia, le più frequenti da visitare in zona sono le rocce plioceniche: calcari, calcareniti, argille e sabbie si intercalano l'une alle altre formando banchi e scogliere ricche di testimonianze fossilifere del mare che un tempo inondava la zona. Le rocce mesozoiche sono invece più rare ma occupano anche esse un'area non indifferente, come i flysch della Tolfa (zona di Monteromano, nord di Civitavecchia e Tarquinia) o i calcari giurassici del monte Canino.
Le rocce sedimentarie sono sicuramente le più importanti per poter ricostruire la geografia delle ere passate. Oltre alle classiche immagini che spesso si vedono sul web o nei documentari, che illustrano l'evoluzione delle linee di costa nel passato, grazie alle rocce sedimentarie possiamo ottenere svariate informazioni riguardo il paleoambiente: grazie alla tipologia di roccia si può conoscere l'ambiente di deposizione ("facies"), la granulometria può spesso rivelare quanto il sedimento sia stato rimaneggiato e quindi quanto spazio ha percorso prima di depositarsi; grazie a particolari isotopi presenti nella roccia si può dedurre le temperatura dell'acqua nella quale è avvenuto il processo di litificazione; grazie ai fossili possiamo dedurre il tipo di ambiente, se tropicale o temperato, profondo o di piattaforma; inoltre nelle rocce sedimentarie possiamo trovare tutta una serie di "tracce", biologiche o non, che ci danno ulteriori informazioni riguardo a ciò che succedeva in quel luogo e in quel momento.
Per fare alcuni esempi inerenti alla zona della Tuscia viterbese, sappiamo che nell'era Mesozoica essa era completamente sommersa dal mare, da profondo a poco profondo, e questo tipo di ambiente ha generato calcari e marne di diverso tipo che contengono fauna marina (crinoidi, ammoniti) affioranti unicamente nell'area di Monte Canino (il resto della formazione è stata "sotterrata" da formazioni più recenti come il flysch della Tolfa); osservando invece le alternanze di argille, calcari e calcareniti del Plio-Pleistocene del litorale si possono ricostruire tutti gli episodi di regressione e trasgressione del mare, i bacini che si sono formati e poi colmati e le antiche linee di costa, questo grazie all'analisi del tipo di roccia (se si tratta di argilla o calcare compatto, ad esempio) e ai loro rapporti con le rocce confinanti.
Sulla storia sedimentaria della Tuscia ci sarebbero interi libri da scrivere, e più passa il tempo più cose nuove si scoprono grazie alla ricerca sul campo e a nuovi metodi di indagine che a volte confutano vecchie teorie.
Sul web si possono trovare innumerevoli siti che parlano dell'evoluzione geologica dell'Italia e che contengono parti riguardanti la Tuscia. Ovviamente non si può pretendere di conoscere la storia di un territorio se non si conosce prima il quadro d'insieme nel quale si è evoluto: consiglio quindi, prima degli approfondimenti relativi alla Tuscia viterbese, di studiarsi prima la storia geologica generale dell'Italia e del bacino Mediterraneo che risulta essere altrettanto interessante e che riesce a far capire molte dinamiche di questo bellissimo territorio.
Lo scopo di questa sezione è, oltre a dare un quadro generale del territorio sedimentario della Tuscia, di recensire le varie tipologie di rocce e di analizzare le loro caratteristiche, i loro "significati" (come cioè interpretare i loro dati per comprendere i paleoambienti) e di indicare i luoghi di affioramento con foto e percorsi che piano piano esplorerò e divulgherò.
Lo studio delle rocce sedimentarie è fondamentale per la comprensione degli ambienti del passato. E' per questo che per ogni roccia descritta qui sotto ho voluto riportare informazioni sia generali (come modalità di deposizione, caratteristiche chimico-fisiche ecc.) che particolari riguardanti la Tuscia (dove si trovano, cosa è successo nel territorio per far depositare questo tipo di roccia ecc.), in modo che questi dati possano essere usati anche per la descrizione o comprensione di altri territori.
Le fonti che utilizzo per descrivere le litologie sono principalmente quelle delle carte geologiche ISPRA (assolutamente utili e piene di informazioni estrapolabili)
Questa roccia, sedimentaria clastica, è costituita da minute particelle di calcare e da micro (o macro) gusci di organismi.
Le calcareniti di questa zona sono tutte di origine marina (non so se esistono calcareniti di origine terrestre): sono formate da un "cemento", una "matrice" di granelli calcarei della dimensione della sabbia che compattano e incollano tra di loro altri pezzi calcarei più grossi, microgusci, conchiglie, altri pezzi di roccia che facevano parte del substrato esistente all'epoca della sedimentazione.
Possono essere biancastre, grigie, gialle o nere-bluastre quando alterate chimicamente; la calcarenite gialla, abbastanza grossolana, prende qui il nome di "macco".
Di questa roccia è formata gran parte del territorio nei dintorni dell'abitato di Tarquinia: numerosi scavi etruschi l'hanno penetrata, come le tombe all'ingresso della città o l'Ara della Regina; i campi ne hanno portato alla luce i fossili, dopo che la matrice si è disgregata ed è diventata terreno; inoltre molti costoni di roccia spiccano, con le loro non irrilevanti altezze, tra le colline del luogo, dal confine con Monteromano, fino a quasi al mare, al confine con il fiume Marta.
A livello fossilifero sono ricchissime di: Ostrea, Chama, Pectinidae, Balanus, echinodermi, anellidi, Cerastoderma, Glycymeris e rari Conus, Cladocora, Arca noae, Cerithium.
In queste rocce ho trovato molti Pecten jacobeus, anche belli grandi, ma pochi gli esemplari accettabili, la fragilità di questi lamellibranchi e la frattura irregolare della roccia non ne permettono quasi mai la perfetta conservazione; in compenso molti balani intatti e enormi Ostrea possono essere trovati facilmente.
NELLA FOTO SOPRA esempio di calcarenite gialla "macco" con fossile di pettinide (Aequipecten scabrella). Da notare il colore della roccia fresca (giallo-ocra) e quello della roccia alterata, nel punto in cui era esposta all'aria (nero-blu): nella pulizia di questo fossile ho appositamente lasciato l'alterazione visibile sulla conchiglia.
Terreno dei campi coltivati nella zona compresa tra Tarquinia e Monteromano. E' argilloso-limoso, plastico quando bagnato e incoerente quando secco. Qui si trovano innumerevoli fossili sciolti, semplicemente sepolti o al massimo inglobati nella matrice, soprattutto Cladocora caespitosa, Cerastoderma glacuum, Cerithium, Conus, Pectinidae (Pecten, Chlamys), Chama, Veneridae e molti altri bivalvi e gasteropodi.
Il terreno della "Turchina" presenta queste caratteristiche, è blu-grigio, plastico e contiene migliaia di frammenti di gusci che circondano i fossili. Purtroppo molti fossili si rinvengono distrutti o in frammenti a causa delle arature dei campi e dello schiacciamento dei mezzi agricoli...
Questi calcari gialli poco coesi affiorano diffusamente nell'area di Tarquinia, personalmente ho visitato l'affioramento del bosco di Tarquinia (vedi luoghi di ritrovamento); affiorano anche nella macchia della Turchina sotto ai terreni a Cladocora e in altri punti di Tarquinia dove seguono in ordine cronologico i grossi banchi di calcarenite "macco".
Essi si presentano molto sabbiosi, con granulometria abbastanza fine ma comunque superiore alle rocce siltose e limose, si sbriciolano molto facilmente con un pennello e si disfano quando bagnate: nel bosco di Tarquinia si possono infatti osservare "grotte" e anfratti derivate dall'erosione delle acque meteoriche, che spesso penetrano la formazione orizzontalmente per una distanza anche di 5 metri, mettendo in risalto enormi molluschi.
Il contenuto fossilifero è abbastanza circoscritto a due famiglie: Ostreidae e Pectinidae, con esponenti Ostrea edulis e Pecten flabelliformis. Sono presenti ovviamente anche altre specie, come altri Pectinidae (Flexopecten glaber, Pecten jacobaeus, pochi Amusium cristatum), calchi anche grandi di bivalvi come Glycymeris e Donax trunculus e di gasteropodi, forse Conidae. La caratteristica più affascinante dei fossili di questa area (e credo di tutta questa litologia) è la loro dimensione e il grado di conservazione: le Ostrea edulis possono raggiungere i 30 cm di dimensione e un peso molto elevato, forme contorte e conservazione molto buona dei dettagli come coste e legamento; i Pecten flabelliformis, nonostante la loro fragilità, sono perfettamente inglobate nella sabbia cementata e spesso in posizione di vita con valve chiuse o associazioni di più esemplari (vedi le foto di questo pettine in "fossili della Tuscia"), di dimensioni non troppo grandi, che conservano i piccoli dettagli delle costole, delle orecchie e del bordo valva. Estrarre questi fossili dalla roccia non è tuttavia una passeggiata, bisogna andarci molto cauti con i mezzi meccanici come scalpelli e mazzette e optare per i più delicati pennelli, asportando con l'aiuto di acqua la sabbia fino a scoprire il fossile ed estrarlo in sicurezza.
Questo calcare è presente a Bagni di Sant'Agostino, e più in generale sul tratto di costa tra Tarquinia e Civitavecchia, molto vicino al mare o addirittura a contatto con esso. E' un calcare organico, formato da una miriade di gusci, opercoli, frammenti vari di echinodermi o molluschi, tubi di anellidi, sassolini minuti. E' anche una roccia giovane: risale all'Olocene inferiore - Tirreniano (Pleistocene), infatti i fossili sono molto ben conservati e con molti colori ancora presenti, non hanno subito quindi eccessivi stress da quando si sono calcificati. Questa roccia è di colore rosso-bruno quando fresca, ma in situ si presenta blu-grigia per l'elevata corrosione e alterazione da parte dell'acqua del mare.
La "panchina" è una roccia clastica costituita da frammenti di gusci di molluschi ed echinidi e ciottoli calcificati risedimentati creata dall'accumulo di questi da parte del mare su una spiaggia: in pratica questa litologia rappresenta una antica linea di costa, in questo caso molto recente, che registra le regressioni e le ingressioni del mare (o il sollevamento tettonico della costa). Basta visitare una spiaggia attuale rocciosa, formata non da sabbia ma da piccoli ciottoli rotondi, e immaginare che il sedimento formante la stessa costa diventerà "panchina": osservando bene il detrito si possono notare innumerevoli microgusci di molluschi, interi o frammentati, che formeranno la malacofauna della futura roccia. Ecco perchè la "panchina" contiene una densità fossilifera molto più alta rispetto a una roccia deposta in un fondo sabbioso, come una calcarenite, sia a livello di numero di reperti che a varietà di specie, ed ecco perchè è molto importante a livello scientifico per la valutazione di antiche linee di costa e movimenti della linea del mare. Altri livelli a "panchina" sono presenti nell'area da Montalto di Castro fino a Civitavecchia.
I fossili più comuni sono quelli di Astrea rugosa, i suoi opercoli, Barbatia barbata, Homalopoma sanguineum, Clanculus sp., Columbella, Bursa, Lima lima e molti altri, sparsi in mezzo a migliaia di frammenti di conchiglie e altro materiale.
Questa tipologia di calcare è scientificamente importante perchè può contenere i cosidetti "ospiti caldi": molluschi che ora abitano le coste occidentali dell'Africa (più calde) che in periodi molto caldi hanno migrato verso il Mediterraneo. Questo significa che ai periodi glaciali (in cui abbiamo "ospiti freddi" atlantici e artici) si sono intercalati periodi più caldi di oggi, così le specie tropicali hanno trovato nel nostro mare un ambiente adatto per la loro vita. Questo discorso degli "ospiti" caldi e freddi è una delle molte prove a favore dell'esistenza delle glaciazioni e della fluttuazione dei livelli di costa del Mediterraneo.
Questa serie è caratterizzata da rocce più antiche di quelle trattate precedentemente, siamo sui 65-50 milioni di anni. E' composta da vari tipi di rocce: marne grigie compatte, altre blu cristalline (calciti), altre varicolore (tipo pietra paesina, per ossidazione di metalli), a volte metamorfosate e trasformate in argilloscisti, non fossiliferi, descritti anche nella sezione "rocce metamorfiche". Le cartine geologiche riportano rari fossili, tra cui fauna mesozoica (ammoniti, rudiste, inoceramidi) e microfossili come nummuliti e foraminiferi, usati per la datazione tramite fossile-guida. Le rocce di questa formazione che ho trovato sono risultate dure, compatte e spesso cristallizzate e metamorfosate, con fossili quasi assenti (ho trovato solo un pettine molto rovinato e alcuni calchi di bivalvi). Queste marne affiorano in molti luoghi nella Tuscia, soprattutto tra il litorale (da Montalto di Castro a Santa Severa) e le colate vulcaniche di Vico e di Bracciano.
Le marne sono il termine intermedio della serie di rocce comprese tra calcari e argille: i primi sono interamente formati da CaCO3, le seconde da alluminosilicati idrati; le marne sono di composizione intermedia, formate dalla litificazione di fanghi argillosi cementati con carbonato di calcio. La frazione silicato può derivare da erosione di altre rocce, deposizione di mare o fiumi oppure organismi con scheletro siliceo, mentre la parte carbonatica deriva da precipitazione chimica o da fonti organiche (gusci di microrganismi, conchiglie, coralli, spugne)
Queste rocce, insieme a calcari e arenarie, sono le componenti principali della piattaforma carbonatica sottostante ai tufi e ignimbriti e che in molte parti hanno metamorfosato formando scisti colorati. Le caratteristiche principali sono: abbastanza dure, hanno spesso frattura concoide, sono di colore chiaro, di grana molto fine (spesso lisce al tatto) e a volte ci si può trovare della selce in noduli (silice microcristallina).