Gli ichnofossili sono tracce di attività biologica fossilizzate. Per attività biologica intendo alimentazione ed escrezione, movimento, fissaggio a un substrato: tutte queste azioni effettuate da qualsiasi organismo producono tracce.
Ovviamente non ogni traccia si conserva, questo per l'erosione che l'ambiente esercita sul fondo del mare o sulla superficie della terra oppure per la sovrapposizione di altre tracce; ci sono casi particolari in cui però la traccia può rimanere impressa nella roccia.
Camminando per i dintorni di Tarquinia ci si imbatte per forza nelle pareti di calcarenite gialla che contraddistinguono questa città: ebbene, questa roccia è strapiena di tracce fossili: possiamo trovare "tubi di roccia" lunghi anche mezzo metro e larghi 3-4 centimetri, depressioni provocate dall'adesione di alcuni organismi (Serpulidae, Balanidae, Patellidae) o fori creati da molluschi litofagi (Lithophaga lithophaga, Pholas dactylus, Irus Irus).
In particolare è interessante osservarli per capire il tipo di deposizione che ha interessato quel sedimento e magari anche la fauna che la componeva: ad esempio, guardando una calcarenite sabbiosa (simile ad un'arenaria) e vedendo al suo interno grossi cilindri fatti della stessa "sostanza" ma di tessitura differente, si può intuire che quel sedimento, quando era ancora sabbia come quella delle spiagge attuali, sia stato attraversato da un qualche organismo (come un verme ad esempio) che l'ha inghiottito, filtrato e poi di nuovo espulso, producendo alle sue spalle una scia di un materiale di consistenza diversa; dopodichè il sedimento si è litificato.
Un'altra osservazione la si può fare a Sant'Agostino, non nella spiaggia fossile ma nei pressi degli stabilimenti balneari. Qui si trovano grossi scogli, che si innalzano per una decina di metri dal pelo dell'acqua: scalandoli si notano una miriade di fori rotondi od ovali, molto erosi, testimoni del fatto che quelle rocce un tempo erano sommerse, proprio perchè quei fori sono stati prodotti da molluschi litofagi delle stesse specie che ho citato prima; è interessante quindi sapere che un tempo il livello dell'acqua era molto più alto (o il livello del suolo più basso, dipende dai movimenti tettonici). Ancora più interessante è scendere sotto quegli scogli, fino al pelo dell'acqua, e osservare gli stessi fori freschi e occupati dai molluschi, e notare che quelli vivi si spingono al massimo fino alla zona degli spruzzi. Anche le specie della famiglia Patellidae producono piccoli avvallamenti nella roccia, nei quali ogni singolo esemplare ritorna durante il giorno dopo aver brucato le alghe di notte.
Nella foto a sinistra è mostrata una porzione di Ostrea edulis con delle tracce a forma di spirale: si tratta dell'attaccatura dei vermi policheti del genere Spirorbis, della famiglia Serpulidae, descritti anche nella sezione fossili italiani; questi organismi sessili si insediano su un substrato duro e cominciano a secernere il loro tubo vitale; l'identificazione delle singole specie può avvenire ovviamente solo in presenza di tale tubo, e con le loro sole tracce non è possibile essere più precisi del genere.
A destra invece una traccia di nutrizione di un organismo, probabilmente a corpo molle: guardando la grana della roccia circostante (matrice) e quella del tubo si notano differenze nella granulometria, come se la pietra costituente del tubo fosse stata "processata" da qualcosa che ha tolto certi componenti (nutrimenti) e inseriti altri (scarti).
In queste due immagini sono raffigurati "tubi" di alimentazione o movimento probabilmente generati da un anellide: insabbiandosi esso lascia alle sue spalle una scia di detrito di diversa tessitura, derivata dalla sabbia precedentemente ingerita. Queste tracce si trovano all'imbocco del bosco di Tarquinia (vedi questa pagina)