Come introdotto nel titolo, nel tratto del fiume Panaro che va da Marano sul Panaro a Vignola (distanti pochi chilometri), affiorano le famose argille azzurre: questa formazione si estende nella porzione subappenninica di Piemonte, Emilia Romagna, Toscana e Marche. Sono molto variabili in composizione a seconda della giacitura e dell'età: infatti queste rocce si sono depositate in un lungo arco di tempo, che abbraccia tutto il Pliocene e il Pleistocene: ci si trova davanti a una grande varietà di cicli e modalità di deposizione che porta ad avere parti sabbiose o marnose, altre meno bioturbate di altre, con molta sostanza organica o meno...
Un esempio di argille azzurre è la foto a sinistra, che ritrae la prima parte di formazione che ho visitato a Marano. Per approfondire l'argomento, indico il link alla pagina ISPRA riguardante la formazione delle argille azzurre italiane: LINK. Inoltre posto un link della regione Emilia Romagna che, a fondo pagina, mostra quattro interessanti carte tematiche tra cui la situazione dell'Italia nel Piacenziano e l'estensione dei sedimenti pliocenici o quaternari in pianura padana: LINK.
Dentro le argille azzurre si possono trovare numerosi esempi di ambienti marini, soprattutto specie tipiche di fondali sabbiosi o limosi, come Turritella, Glycymeris, Aequipecten, Nassarius, Cochlis, Dentalium.
Queste rocce, essendo costituite da granuli finissimi di sedimento, possono essere deposte solo in ambienti molto calmi; inoltre l'alto grado di selettività della granulometria (cioè la costanza dimensionale dei vari granuli) indica che sono state depositate dopo un lungo viaggio dal luogo in cui sono state strappate alla terra. Leggendo il documento ISPRA riguardante la formazione si legge che queste argille si sono formate in ambienti e profondità diversi, secondo composizioni e modalità dissimili, ma tutti compresi all'incirca nella zona neritica, al limite della epibatiale. Questi due termini indicano che le argille si sono formate in ambiente di mare aperto, lontano dalle coste (ambiente neritico) e al limite dell'ambiente batiale, cioè lungo la scarpata continentale: ecco infatti un ambiente le quali caratteristiche permettono la deposizione dell'argilla, che necessita per l'appunto di un ambiente calmo (poche correnti e profondità elevata) e lontano dalle coste. Spesso le argille di questa formazione sono di deposizione secondaria, formate cioè negli ambienti meno estremi (come delta di fiumi, laghi costieri, golfi) ma comunque sia tranquilli, poi di nuovo erose e trasportate dalle correnti nei punti limite della piattaforma continentale, sino alle scarpate, dove i sedimenti si compattano insieme ai gusci di molluschi che vi vivevano sopra. Non è infatti raro incontrare nelle argille specie di varie batimetrie o diverso habitat naturale: per esempio un organismo che viveva strisciando sulle argille, vi muore mentre le argille vengono erose; il guscio viene trasportato nelle profondità marine dove vivono altri molluschi, che muoiono e si immettono anche loro nel "flusso" di trasporto; il risultato è un'argilla contenente fossili di molluschi costieri, di mare profondo e magari anche qualche vertebrato del mare aperto come cetacei o squali.
Siamo partiti di mattina relativamente presto, in modo che alle 9:00 ci siamo ritrovati per strada diretti verso il primo luogo che avevamo intenzione di visitare: l'area delle chiuse sul Panaro prima del ponte di Marano. Il luogo preciso è indicato nelle due mappe a destra.
Arrivati sul posto, abbiamo dovuto camminare per un po lungo una stradina di servizio che correva affianco al bosco che ci divideva dall'alveo del fiume; trovato un passaggio in mezzo alle sterpaglie abbiamo avuto accesso all'area, molto suggestiva per lo spazio aperto, lo scroscio dell'acqua e la distesa di sassi bianchi e multicolori, residui delle diverse rocce appenniniche trasportate dal fiume. Ci siamo quindi immediatamente messi a sondare le argille che vi affioravano; ho notato evidenti segnali di bioturbazione, come cunicoli, pezzetti di materiale indefinito ma organico, microconchiglie spezzettate (spesso Corbula gibba o Spisula subtruncata) ma soprattutto grossi tubi di Vermetidae e Serpulidae come le comuni ed abbondanti Ditrupa cornea, anellidi del genere Protula, ma anche Petaloconchus intortus e Thylacodes arenaria. Fatti altri 400-500 metri, ho incontrato una zona a turritelle, principalmente Turritella subangulata e Turritella tornata, con qualche Naticidae e Nassaridae.
In fondo quella di Marano sul Panaro non è stata un'area molto fruttifera, almeno in confronto a quello che avremmo trovato a Vignola...
Arrivati a Vignola, ci accingiamo a discendere l'argine del fiume da un comodissimo parcheggio che dista poche decine di metri dal fiume: l'affioramento si trova subito a valle della chiusa dove c'è il ponte, ed è letteralmente sotto gli occhi di tutti: vi troviamo infatti della gente, intenta a fare joga o a parlare in gruppo. Guardando a terra mi accorgo subito di essere in un luogo eccezionale: migliaia e migliaia di frammenti di bivalvi, come Atrina pectinata, Glycymeris insubrica, Glossus humanus, Aequipecten scabrella e A. opercularis, miscelati a gasteropodi di famiglie eterogenee, molto numerosi e integri per gli esemplari più piccoli: trovo subito un'abbondanza assoluta di Nassariidae, Conus antidiluvianus, Bathytoma cataphracta, Turris contigua e Cochlis sp.
Comincio a raccogliere partendo dagli strati più lontani dal fiume, duri e contenenti conchiglie spesso sminuzzate e impossibili da estrarre. Avvicinandomi al fiume trovo argille più umide e plastiche, addirittura lavorabili con le mani, i quali fossili erano facilmente estraibili. In riva al fiume, sotto il pelo dell'acqua, ho potuto addirittura eseguire una sorta di raccolta del detrito, ottenendo micro gasteropodi sciolti completamente liberi dall'argilla.
I ritrovamenti più importanti collezionisticamente e scientificamente sono: una Glans rudista completa, ancora chiusa nella sua posizione di vita; una Xenophora crispa, quasi integra e di diametro di 3,5 cm; due Architectonica simplex, che anche se non sono una rarità è molto appagante trovarle; vari Conus antidiluvianus quasi integri di dimensioni medie. Inoltre, varie specie di Cancellariidae e un Epitonidae, oltre ad altre famiglie che non avevo mai trovato personalmente.
La foto a destra mostra l'area dall'alto, e ho indicato con cerchi e numeri i punti più salienti: 1, gasteropodi e bivalvi sciolti dentro l'acqua pronti per essere solo raccolti; 2, strato a Glossus humanus distrutti; 3, strato a Pectinidae e Glans rudista integri e articolati; 4, frana in cui si trovano notevoli quantità di Nassarius e Cochlis.
Le informazioni riportate fino a qui si riferiscono alla mia prima visita a Vignola, più o meno nel Marzo 2016. Vi sono tornato l'anno successivo, in Settembre 2017, sia per ritornare in un posto che mi ha dato molta soddisfazione che per recuperare un po di pezzi che mi sono stati sequestrati provenienti proprio da Vignola (...).
Ritornando su luogo ho notato, grazie alle foto che avevo scattato nel 2016, l'entità della siccità che ha colpito l'Italia questa estate: il Panaro era infatti largo circa 1 metro massimo 2, profondo poche decine di centimetri. Nonostante la relativa carenza d'acqua, l'ambiente circostante si è presentato comunque rigoglioso e attivo: si possono osservare le rane che nuotano nelle pozze laterali o che si riposano sui sassi; ci sono bellissime libellule e altri insetti da osservare; ogni tanto persino qualche piccolo pesce che salta fuori dall'acqua e qualche airone bianco. Un bel paesaggio anche con poca acqua, che mi ha permesso di fare dei bei scatti fotografici.
Non tutto però è andato bene: la nostra uscita di quel Settembre si è rivelata infruttuosa, primo per l'assenza dei fossili "classici" che si rinvengono qui normalmente (primi di tutti quelli di Conus antideluvianus) e poi per la condizione di quelli presenti, che essendo meno resistenti dell'argilla nella quale sono inglobati, si rompono immediatamente. La mia teoria su questo impoverimento
fossilifero riguarda proprio la siccità: infatti potrebbe essere che, col fiume molto piccolo e senza precipitazioni, le argille si siano consolidate così tanto da formare un cemento molto resistente, infatti è servita una mazza da 600g per rompere gli strati superficiali. Inoltre i fossili sono rotti già dentro la matrice: secondo me questo è causato dalla dilatazione termica delle argille e del carbonato di calcio delle conchiglie. Infatti, essendo questa proprietà diversa da materiale a materiale, è possibile che le argille si siano dilatate maggiormente e (aiutate anche dall'assenza di acqua, quindi di plasticità) abbiano premuto contro i fossili, sbriciolandoli. Questi ultimi infatti nel 2016, dove l'ambiente era molto più umido, si presentavano perfettamente integri e anzi molto resistenti rispetto l'argilla circostante.
Ora occorre aspettare che lo strato superficiale venga eroso e che i fossili rotti contenuti vengano sostituiti da altri più profondi in condizioni, si spera, ottimali.
A destra, la foto di un "cuscinetto" di argilla che, essendo più duro delle rocce circostanti, assume una forma a cupola che si erode più lentamente. Si notano numerosi Aequipecten scabrella, Glycymeris insubrica e frammenti di Atrina.
Argille del Panaro presso il ponte di Marano. Sono visibili gli strati di argilla blu molto friabile, contenenti molti anellidi policheti e piccoli bivalvi di ambiente sabbioso-fangoso (come Corbula e Spisula) e qualche Turritellidae.
Scorcio delle argille di Vignola: a destra sono visibili le chiuse del fiume presso il ponte, mentre la "spiaggia" davanti è il luogo
di raccolta dei fossili.
Due foto dello stesso punto della spiaggia di Vignola scattate in diversi periodi: quella a sinistra si riferisce a Marzo 2016, quella a sinistra a Settembre 2017. Si noti la diminuzione massiccia di quantità di acqua per la grande siccità che ha colpito l'Italia nell'estate 2017. Sulla sinistra di ciascuna foto si nota una "spalla" di argilla nella quale si trovano molte Glans rudista in connessione.
Alcuni ritrovamenti in posto a Vignola. Da sinistra verso destra: Architectonica simplex, frammento madreperlaceo di Atrina pectinata, una Corbula gibba e un Petaloconchus cfr. deshayesi insieme a frammenti di Pectinidae.
Pododesmus glaucus (I) R
Anadara diluvii C
Anadara pectinata PF
Glans rudista CC
Chama gryphoides C
Corbula gibba PF
Glycymeris insubrica C
Limopsis aurita PF
Limopsis aradasii PF
Gonimyrtea meneghinii (I) R
Ostrea edulis CC
Aequipecten scabrella CC
Aequipecten opercularis CC
Timoclea ovata C
Atrina pectinata C/F
Dentalium sexangulum C
Terebratulidae non identificato R
Ditrupa cornea CC
Protula sp. CC
Aporrhais pespelcani C
Architectonica simplex PF
Bathytoma cataphracta C
Euthria cornea PF
Crepidula moulinsii PF
Crepidula fornicata PF
Bonellitia serrata PF
Narona varicosa PF
Conus striatulus C
Conus antidiluvianus C
Latirus ligusticus (I) PF
Benthomangelia obtusangulus (I) PF
Crassopleura sigmoidea (I) PF
Mitrella nassoides C
Heteropurpura polymorpha PF
Nassarius semistriatus C
Nassarius solidula C
Vexillum ebenus PF
Nassarius gaiae (I) PF
Nassarius serraticosta PF
Nassarius serratus C
Cochlis sp. C
Neverita josephinia PF
Charonia appenninica PF
Ringicula buccinea C
Ringicula auriculata C
Strioterebrum pliocenicum C
Terebra acuminata C
Terebra postneglecta C
Turris contigua C
Haustator vermicularis CC
Turritella subangulata PF
Turritella tornata C
Turritella tricarinata PF
Turritella aspera (I) PF
Thylacodes arenaria CC
Petaloconchus deshayesi (I) C
Petaloconchus intortus CC
Vermetus rugulosus PF
Xenophora crispa PF
3 Phylum
35 Famiglie
59 specie
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