Questa famiglia raggruppa le comunissime "ostriche", bivalvi grandi e massicci dalla forma irregolare, sessili, dalla conchiglia estremamente calcificata. Sono molto frequenti nei depositi di arenaria e sabbiosi (come le enormi ostriche di Tarquinia), e sono indicatrici di un fondale roccioso, e di solito più sono calcificate e ispessite più l'energia del mezzo era elevata (così come per i bivalvi delle famiglie Anomiidae e Chamidae); nelle argille si trovano bei esemplari, quasi sempre integri e molti giovanili, ma di dimensioni minori alle "colleghe" di fondali rocciosi: vedi le ostriche della Macchia della Turchina, ambiente argilloso, che sono molto più piccole di quelle delle calcareniti e delle sabbie di Tarquinia.
Oltre che nella Tuscia, questi bivalvi si rinvengono praticamente in tutta italia, sicuramente in tutto il terziario, forse anche nel secondario. La specie più diffusa è sicuramente Ostrea edulis, l'ostrica che oggi siamo abituati a mangiare, di dimensioni e forma estremamente variabile; addirittura è ora entrata in sinonimia con Ostrea lamellosa, che fino a poco tempo fa indicava come specie a sè gli esemplari dotati di costolatura radiale, mentre le edulis possedevano solo scultura concentrica. Oggi esiste un ulteriore specie alloctona, la Crassostrea gigas, che è stata introdotta dall'uomo e pertanto non presente nel Mediterraneo prima dell'età moderna.
Si potrebbero confondere con le specie delle famiglie Anomiidae, Chamidae e Gryphaeidae: le prime sono composte da specie più rotonde, sottili e non hanno costolatura radiale o assiale accentuata come nelle ostriche; le seconde sono molto più gibbose, di dimensioni più piccole, hanno un umbone ben visibile, una cerniera diversa, l'interno liscio e più regolare delle ostriche; le terze (o meglio, il terzo, Neopycnodonte cochlear, unico esponente della famiglia nel Mediterraneo) è più complicato da riconoscere, leggi la scheda per i dettagli.
Le ostriche sono il ritrovamento più frequente che si possa fare in questa zona: se ne trovano di grandi, piccole, sottili o molto spesse, massicce, fragili, con lamelle, distorte, frammenti...
Nella Tuscia si farebbe prima a dire dove NON si trovano questi bivalvi! Diciamo che in ogni zona fossilifera che io ho visitato, ho sempre rinvenuto le Ostrea, tante o poche, ma comunque presenti.
Si trovano quindi nei terreni argillosi (alla Macchia della Turchina ho trovato tantissimi esemplari ben conservati fino a 10-12 cm), incastonate nella calcarenite (dove ho trovato la mia Ostrea più grande, oltre 4 kg, 16 cm x 16 cm x 10 cm a doppia valva in posizione di vita) oppure nei terreni "battuti" (come strade bianche o sentieri di macco) e in molti altri luoghi come rocce isolate, detriti fluviali (al Mignone ho trovato una roccia di circa 4 kg con 8-10 ostriche chiuse incastonate), tagliate ai lati della strada, addirittura al parco Marturanum si trovano delle ostriche incrostate da balani su alcune pavimentazioni stradali, la dove affiora la piattaforma sedimentaria (o forse sono state poste li dall'uomo...)
Può sembrare molto facile recuperare intatte queste conchiglie, beh nel terreno argilloso è così, ma nelle pareti di macco bisogna fare molta attenzione perchè se si incrina la conchiglia si creano spigoli vivi molto taglienti, e se stai raccogliendo un esemplare al bordo di un precipizio non è tanto bello tagliarsi così all'improvviso! Le ostriche sono anche abbastanza pesanti, perchè molte sono di dimensioni notevoli, quindi aggiunge altra scomodità quando si vanno a raccogliere nelle pareti verticali in bilico.
Io evito il più possibile di rimuovere materiale incrostante dalla loro conchiglia, come balani, coralli, briozoi, anellidi, questo perchè l'interesse del fossile non è tanto nella sua "bellezza" o "perfezione" quanto nel fatto che nell'esemplare conservato si possano capire le condizioni di vita e quello che succedeva intorno a lui: un ostrica piena di incrostazioni è quindi, per me, più interessante di uno stesso pezzo a cui sono state tolte.
Su Ostrea edulis, girando sul web, si creano molte confusioni: innanzitutto molti siti parlano di una specie di ostrica, Ostrea lamellosa, che si differenzia dalla edulis perchè la prima ha lamelle sia concentriche che trasversali, e la seconda solo concentriche; però, continuando a documentarsi, si trovano immagini di O. edulis con lamelle multiorientate e O. lamellosa con lamelle concentriche.
Confuso e desideroso di cercare la "verità", mi sono consultato con il WoRMS, e da li risulta che O. lamellosa è una specie non accettata e che sia inglobata nella definizione di O. edulis: ho quindi deciso di chiamare le mie conchiglie Ostrea edulis anche se provviste di sole costole radiali.
Si confonde con Neopycnodonte cochlear: in particolare le due specie presentano una conformazione quasi identica, con ornamentazioni e dimensioni simili. Inoltre, per rendere il tutto più complicato, sono entrambe molto variabili. Gli aspetti che li differenziano sono la forma, più spesso allungata in N. cochlear mentre O. edulis si presenta a "ventaglio"; la differenza tra le valve, infatti N. cochlear ha la valva libera che è spesso più piccola di quella fissa. Queste caratteristiche sono però troppo soggette alla variabilità, e non spesso sono rispettate anzi possono essere invertite. Il carattere più sicuro per riconoscere le due specie è senz'altro la crenulazione che Ostrea edulis possiede affianco all'area ligamentare, e che solo la sua specie possiede; infatti N. cochlear ne è sprovvisto.
Questo esemplare proveniente dalle calcareniti di Tarquinia sembra diverso dalle solite Ostrea edulis: più allungato, gibboso, con grosse coste radiali morbide e poche altre concentriche di accrescimento. Purtroppo è anche incompleto, e questo non permette la classificazione precisa; tuttavia questo esemplare è molto simile a quello che Sacco chiama Ostreola forskalii, che cercando su WoRMS è conosciuta come Ostrea forskahlii che è un vecchio nome dell'attuale Saccostrea cucullata. Questa ostrica è oggi segnalata nell'indo-pacifico e nel Mar Rosso, ma è possibile che in tempi remoti popolasse anche la Tetide.